Il nuovo Decreto Tariffe del Ministero
della cultura apre le maglie alle pubblicazioni a carattere
scientifico
In Italia, il percorso (qui,
qui e
qui) in tema di accesso aperto alle immagini dei beni
culturali in pubblico dominio è ancora caratterizzato da una netta
dualità di pensiero. Da una parte, i sostenitori di un sistema di
controllo preventivo, volto altresì alla monetizzazione delle
riproduzioni ad uso commerciale (qui,
qui e
qui); dall’altra, la comunità Open GLAM, le associazioni
degli istituti culturali, le associazioni degli organismi di
ricerca e di istruzione e quelle rappresentanti la società civile
che, invece, ritengono che l’adozione dei principi
dell’Open Access “puro”, nel rispetto dei diritti d’autore, della
persona e dei dati personali possa incentivare nuove modalità di
fruizione e di creazione artistica, con un ritorno per gli istituti
culturali in termini di rapporto con il pubblico (qui, qui).
Tale approccio consentirebbe la protezione del pubblico dominio nel
campo delle arti visive e del patrimonio culturale, in linea con la
normativa europea (Art. 14, Direttiva
CDSM). Di contro, il Presidente del Comitato consultivo
permanente per il diritto d’autore pro-tempore, organo consultivo
del Ministero della cultura, ha in recenti occasioni pubbliche
manifestato delle perplessità in relazione ai principi del libero
riuso senza restrizioni, per motivi collegati evidentemente alla
preoccupazione della perdita del potere di controllo sugli utilizzi
dell’immagine (anche se, come deciso in una recente sentenza del
Tribunale di Stoccarda, l’ambito territoriale in cui
esercitarlo è solo l’Italia), non tenendo in considerazione però
che il dato in accesso aperto e interoperabile con altri sistemi ad
accesso aperto, consente in realtà di creare archivi digitali
efficienti per la conservazione dei dati a lungo termine e facilita
la tracciabilità delle condivisioni e dei riutilizzi.
Qualche avanzamento nella posizione del Ministero della cultura
si registra con un nuovo decreto ministeriale che, sebbene tenti di
porre rimedio al tanto contestato decreto precedente in tema di
tariffe minime (Capitolo
italiano di CC, MAB
e altri, AISA, FCdA
Federazione Consulte Universitarie di Archeologia per la libera
circolazione delle immagini del patrimonio culturale
pubblico, Federazione
delle Consulte Universitarie di Archeologia, CUNSTA – Consulta
Universitaria Nazionale per la Storia dell’Arte e SISCA – Società
Italiana di Storia della Critica d’Arte) continua a
rivelare un’impostazione antiquata, estremamente burocratica e
contraria alla protezione del pubblico dominio, come motivato in un
recente
studio commissionato da Communia. In tal senso, la
nuova norma si rivela ancora non curante di quanto dichiarato dalla
Corte dei Conti nel riconoscere che “l’Open Access ha da
tempo dimostrato di essere un potente moltiplicatore di ricchezza
non solo per le stesse istituzioni culturali (si vedano le ben note
best practices nazionali ed internazionali), ma anche in termini di
incremento del PIL ed è, quindi, considerato un asset strategico
per lo sviluppo sociale, culturale ed economico dei Paesi membri
dell’Unione” (Deliberazione
20 ottobre 2023, n. 76/2023/G, pag. 156).
Il nuovo Decreto Ministeriale, DM 108 del 21 marzo 2024,
modifica il DM 161/2023 che introduceva un tariffario per la
determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi
per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e
luoghi della cultura statali.
Il nuovo decreto interviene dopo un solo anno, senza una
consultazione pubblica e limita l’ambito di applicazione delle
nuove linee guida ai “beni in consegna agli istituti e luoghi della
cultura del Ministero della cultura” e non si estende più a quelli
statali. Il raggio di applicazione della normativa viene quindi
ristretto; non potrà esplicare effetti, ad esempio, sui beni
culturali in consegna ad istituti afferenti a ministeri diversi dal
Ministero della cultura.
Rispetto alla formulazione precedente, si rileva una
maggiore apertura e un ampliamento della casistica delle ipotesi di
gratuità.
Sono, infatti, gratuite le riproduzioni di beni culturali e il
loro riuso nei seguenti casi:
- pubblicazioni a carattere scientifico;
- per pubblicazioni di contenuto divulgativo e didattico;
- cataloghi con tiratura sotto le 4000 copie;
- riviste ANVUR di classe A;
- quotidiani e periodici che assolvono il diritto-dovere di
cronaca;
- pubblicazioni Open Access;
- riproduzioni eseguite personalmente dall’utente per scopi non
lucrativi;
- attività di valorizzazione del patrimonio senza scopo di lucro
ad opera del ministero e di altri enti pubblici o privati.
E’ bene notare che, ove le linee guida richiamano espressamente
l’Open Access, non chairiscono come risolvere il problema della
mancanza di interoperabilità tra l’etichetta
Beni Culturali Standard e gli strumenti Creative Commons
con i quali i contenuti in Open Access sono pubblicati.
I richiedenti sono tenuti al rimborso delle spese relative ai
costi vivi eventualmente sostenute dall’Amministrazione per
eseguire le riproduzioni, mentre nessun rimborso spese è dovuto per
le riproduzioni già disponibili on-line e per quelle eseguite
direttamente da privati realizzate nel rispetto delle norme
dei codice dei beni culturali.
Il decreto prevede, poi, che la determinazione del
canone resti “in capo all’autorità che ha in
consegna il bene, che dovrà valutare, caso per caso, l’uso a cui è
destinata la richiesta in rapporto alle opportunità di promozione
culturale del bene, al rischio per la sua conservazione, alla
sottrazione alla pubblica fruizione”.
La norma chiude, però, prevedendo che per riduzioni consistenti
del canone e per il suo azzeramento è comunque richiesto il parere
dell’organo amministrativo di vertice del Ministero. Non è chiaro a
quale organo del Ministero si faccia riferimento, quale sia la
procedura da seguire e quali siano i criteri utilizzati per
rilasciare un parere positivo alla riduzione o azzeramento.
Importante anche il riferimento alle specificità territoriali e
alle opportunità di promozione del patrimonio culturale meno
conosciuto, sulla base delle quali il direttore dell’istituto che
ha in consegna il bene può valutare una riduzione o un azzeramento
del canone.
Il decreto, d’altro canto, continua a riproporre la
modalità delle tariffe basate sui coefficienti che, come già più
volte evidenziato, creano un sistema farraginoso che impatta
negativamente sugli stessi istituti che dovranno attuare la
norma.
Rimane poi il problema di capire nel concreto quando la
richiesta di concessione debba essere fatta, a prescindere dal
canone, per una verifica di compatibilità, e quale sia la procedura
esatta e i costi della stessa, sia dal punto di vista dell’ente,
sia dal punto di vista dell’utente. Resterebbe in vigore l’articolo
2, comma 2, del precedente decreto ministeriale che, individuando
l’ambito di applicazione della norma, impone la richiesta di
concessione a prescindere dall’obbligo di corrispondere un
canone.
L’attuale decreto ministeriale si chiude, infine, con una
previsione che lascia intendere la precarietà dello stesso poiché
si esplicita che l’applicazione delle Linee guida “sarà oggetto di
monitoraggio da parte dell’organo amministrativo di vertice del
Ministero, anche in vista di una possibile revisione delle stesse”.
Come già detto, non è chiaro, però, nè quale sia l’organo
amministrativo di vertice, nè tanto meno come e con quale modalità
verrà effettuato il monitoraggio. Rimane, quindi, aperta la
possibilità di un ulteriore aggiustamento che
questa volta sarebbe auspicabile fosse preceduto da un dialogo tra
le istituzioni e le rappresentanze del settore.
Nonostante la presente disamina riguardi una norma di fonte
secondaria, dall’interpretazione della stessa traspare un
atteggiamento ancora di chiusura per le forme di fruizione e
valorizzazione della riproduzione digitale del bene culturale in
pubblico dominio da parte della collettività.
Un’iniziativa a livello internazionale volta, invece, al
riconoscimento del diritto all’accesso aperto al patrimonio
culturale digitale è promossa da Creative Commons:
TAROC – “Towards a Recommendation on Open Culture”.
Quest’ultima, infatti, ha lo scopo di sostenere la comunità
internazionale nell’adozione di una raccomandazione che sancisca i
valori, gli obiettivi e i meccanismi per lo sviluppo della cultura
aperta e, in particolare, il riconoscimento di quest’ultima come
strumento di salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. Con
questo obiettivo, Creative Commons ha organizzato per il secondo
anno un workshop a Lisbona con l’intento di approfondire le
strategie per rimuovere le barriere all’accesso al patrimonio
culturale in pubblico dominio in ambiente digitale e contribuire al
raggiungimento degli obiettivi di politica culturale globale
dell’UNESCO. Professionisti provenienti da tutto il mondo – tra cui
leader dell’UNESCO ed esperti dei settori del patrimonio culturale
e della creatività contemporanea – hanno partecipato all’evento,
sviluppando una visione e una tabella di marcia verso una
Raccomandazione dell’UNESCO finalizzata a garantire un accesso equo
al patrimonio culturale digitale.
Deborah De Angelis
Avvocato esperta in diritto d’autore internazionale,
diritto dello spettacolo e dei beni culturali, e diritto
delle nuove tecnologie. È lead del Capitolo italiano di
Creative Commons. Nel 2019, è stata consulente legale in
materia di diritto d’autore per il Ministro dei Beni
Culturali. E’ fellow del NEXA Center for the Internet &
Society e componente del gruppo di lavoro Digital Cultural
Heritage, ICOM Italia. E’ ccordinatore per l’Italia
del programma KR21 (Knowledge Rights 21) in materia di
accesso alla cultura, all’istruzione e alla ricerca. E’
Consigliere di ALAI, Italia e componente del
Copyright Community Steering Group di Europeana.
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Immagine:
La città che sale, di Umberto Boccioni, Pubblico Dominio, da
Wikimedia Commons