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Ero a Leandro

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latino

Publio Ovidio Nasone I secolo a.C. 1868 Giacomo Zanella Indice:Versi di Giacomo Zanella.djvu Elegie letteratura Ero a Leandro Intestazione 28 dicembre 2011 100% Elegie

Questo testo fa parte della raccolta Versi di Giacomo Zanella


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ERO A LEANDRO.

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Eroide dello Stesso.





     Vuoi che l’egro mio spirto io rassereni,
Come il cortese tuo foglio m’invita?
3Getta la penna, mio Leandro, e vieni.

     A chi triste in desio mena la vita
Fassi un’ora mille anni. Io t’amo, io t’amo
6E fieramente il tuo tardar m’irrita.

     D’immenso foco parimenti ardiamo;
Ma se d’amore son le fiamme eguali,
9Di tempra eguali e di vigor non siamo.

     Noi che le membra abbiam tenere e frali
Noi fanciulle di cor siamo men forti.
12Vieni, o vinta io soccombo a tanti mali.

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     Voi la caccia trastulla: in bei diporti
Alla quïete di campagna amena
15I lunghi giorni a voi paiono corti.

     Ora il fòro vi chiama; or nell’arena
Scendete unti alla lotta, o d’un corsiero
18Affaticate la fumante schiena.

     Or a pesci ed augelli il giorno intero
Sedete insidïando, e l’atra cura
21A vespero tuffate entro il bicchiero.

     Tali trastulli a noi vieta natura;
E che far ci riman, se non l’amore,
24Chiuse nell’ombra di guardate mura?

     E di te tutte quante occupo io l’ore;
Tu segreto mio studio e mio tesoro;
27Nè dir può lingua quel che sente il core.

     Or di te parlo colla balia, e ploro
Con lei sommessamente e le cagioni
30Del tuo ritardo palpitando esploro;

     Or riguardando il mar che gli aquiloni
Volgon sossopra, i tuoi lagni ripeto,
33Imprecando de’ venti alle tenzoni;

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     O per poco che torni il mar quïeto,
Che la voglia ti manchi e non la possa
36Io vo triste gemendo in mio segreto;

     Gemo accorata, e la pupilla ho rossa
Di amaro pianto che con man tremante
39Terge la vecchia al mio martír commossa.

     Spesso un vestigio io vo delle tue piante
Per la sabbia cercando, e non rammento
42Quanto è mobil la sabbia ed incostante.

     E purchè di te parli, ogni momento
Io chieggo se sia giunto alcun d’Abido,
45O per Abido dia le vele al vento.

     E chi può dir quanti baci confido
Alle tue vesti che da me partendo,
48Quando spunta il mattin, lasci sul lido?

     Tutto il mio giorno in queste cure io spendo
Ma quando gli astri per la volta eterna
51Scoprono il viso scintillante, accendo

     Subitamente la fedel lucerna
Sull’altissima torre, onde il cammino
54Tu nell’immensa oscurità discerna.

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     Indi traendo alla conocchia il lino
Io siedo e con femminëi sermoni
57Inganno, come posso, il mio destino.

     Chiedi di che per tante ore ragioni?
Di vestiti o di danze io non favello;
60Tu sol sulle mie labbra ognor risuoni.

     Pensi, io dico, nutrice, che all’ostello
Leandro si sia tolto? o che sian desti
63Tutti? e del padre ei tema e del fratello?

     Credi tu che dagli omeri le vesti
Ora deponga, e di salubre e schietto
66Olio le belle membra unger si appresti?

     Ella accenna che sì; non che l’affetto
Nostro l’agiti assai; ma ’l capo antico
69Vacillante per sonno inchina al petto.

     Fatto un breve silenzio, adesso, io dico,
Ei da riva si parte; in questo punto
72Entra nell’acque l’animoso amico.

     Nè filando un pennecchio anco ho consunto,
Che la nutrice interrogo: ti pare
75Ch’ei possa a mezzo corso essere or giunto?

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     Ed ambo dal balcon guardiamo al mare,
E preghiamo con timido desio
78Non ti sian l’aure di soccorso avare.

     Ad ogni suon quella fedele ed io
Tendiam l’orecchio, e de’ tuoi passi il suono
81Trepide udiamo in ogni mormorío.

     Breve riposo alfine agli occhi io dono;
E languida sul sen della nutrice
84Questa infiammata mia testa abbandono.

     Sogno, e del vano mio sognar felice
Parmi vederti allor che le grondanti
87Braccia mi avvolga intorno alla cervice.

     Tu da me prendi gli odorosi ammanti
A coprirti; e mi dai baci e ricevi,
90Com’è l’usanza de’ beati amanti.

     Ahi, dolorosa! chè bugiarde e brevi
Son le gioie de’ sogni, e sugli albóri
93Tu, come sciolta visïon, ti levi.

     Quando fia che più l’onda i nostri amori
A divider non abbia, e mite Iddio
96Stringa in nodo perenne i nostri cori?

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     Perchè soletta trapassar degg’io
Tante vedove notti? E tu che fai
99Sull’altra riva, nuotator restio?

     Oggi son l’onde paurose assai;
Eran ieri più basse; or perchè colta
102Ieri la bella occasïon non hai?

     Ben gittata l’hai tu, ma ti fu tolta
Ieri dal vento: invan sarà che aspetti
105Più tranquilla marina un’altra volta.

     Vieni; al mio fianco non avrai sospetti;
Noi le burrasche prenderemo a scherno,
108L’uno al collo dell’altro avvinti e stretti.

     Ridendo udremo il tempestoso verno
Tonar sui flutti: io ben sarei contenta
111Se dell’onde il furor durasse eterno.

     Ma donde avvien che tema ora tu senta
De’ nembi? perchè l’onda che sicura
114Tante volte ti parve, or ti sgomenta?

     Ben mi ricorda che crucciata e scura
La marina mugghiava al tuo venire;
117Pure non valse a metterti paura.

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     Allor dicea: tu mi farai morire
Col soverchio ardimento. Or dove giace,
120Di’, del valente nuotator l’ardire?

     Ma che favello sconsigliata? Audace
Tanto mai più non essere, o mio bene;
123Nè scendi in mar se pria nol vedi in pace.

     Basta che non sian rotte le catene
Che i nostri cori allacciano, nè spento
126Cada il foco che n’arde oggi le vene.

     Il mar si muti, ed imperversi il vento,
Mutando lato; io non ho tema alcuna;
129Ma che il tuo cor si muti, io mi sgomento.

     Pavento ancora che la mia fortuna
Vil non ti sembri; e tu nato in Abido
132Lei disprezzi che in Tracia ebbe la cuna.

     Ma tutto io posso tollerar, se infido
Non ti ritrovi, nè novello amore
135Il nostro antico amor cacci di nido.

     Se non fosse più mio quel nobil core,
Onde mi venne sì profonda piaga,
138Preverrei col morir cotanto orrore.

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     Nè favello così, perchè presaga
Sia la mente di danni, o dia credenza
141A romori di fama incerta e vaga;

     Ma di tutto io pavento; e fu mai senza
Paura vero amore? E di sospetto
144M’empie pur sempre la tua lunga assenza.

     O felice colei che nel cospetto
Vive ognor del suo vago e scerne il vero,
147Nè sognato terror le agghiaccia il petto!

     Verace torto o grido menzognero
Io discerner non so: vero o bugiardo
150Ogni detto conturba il mio pensiero.

     Vieni, vieni una volta; e del ritardo
Sian cagione i parenti o la procella,
153Non d’altra donna lusinghevol guardo.

     Vuoi tu ch’io muoia alla fatal novella?
Vedi, Leandro, ignobile delitto
156La morte procurar d’una donzella.

     Ma perdonami, o caro; il cor trafitto
Io vo pascendo di paure: intanto
159È l’onda che si oppone al tuo tragitto.

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     Ahimè, come rimugge a’ lidi infranto
L’ampio Ellesponto! e van le nubi e tutto
162Coprono il ciel di ferrugigno ammanto!

     Forse in questa ora rinnovella il lutto
D’Elle l’antica genitrice e mesta
165I suoi pianti confonde al conscio flutto?

     Od Ino alla figliastra ancora infesta
Sul mar che ha nome da costei, discende
168Tanta a destarvi orribile tempesta?

     Fato nemico le donzelle attende
Ognora in questo mar, che l’innocente
171Elle sommerse, ed or me crudo offende.

     Ma tu, Nettuno, se ti rechi a mente
Le antiche fiamme, perchè sei scortese
174A me che d’egual foco ho l’alma ardente?

     S’è ver che col sorriso un dì ti prese
Amimone, e co’ begli occhi divini
177Tiro d’immensa vampa il cor t’accese:

     Ed Alcïon ne’ talami marini
E Calice accogliesti e di serpenti
180Medusa non ancora avvinta i crini;

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     E Laodice che dorate a’ venti
Spandea le chiome e la gentil Celeno
183Ascesa a fiammeggiar ne’ firmamenti;

     Perchè, Nettuno, se cotante in seno
Fiamme accogliesti, sei con me sì fiero
186Che d’amoroso incendio ardo non meno?

     Pace, gran nume; col tridente altero
L’oceàno sconvolgi; in breve chiostra
189Sdegna far pompa del regale impero.

     Sorgi colà con tutti i venti in giostra;
Le navi aggira e co’ sonanti e vasti
192Marosi le gran flotte abbatti e prostra.

     Vergogna, che dell’acque il Dio contrasti
Ad inerme garzon; palma sì vile
195D’un fiumicel si disdirebbe a’ fasti.

     Vanta Leandro origine gentile;
Ma fra gli avi famosi ei non addita
198L’Itaco astuto a’ tuoi nepoti ostile.

     Pace, gran nume; ed ambo a un tempo aita;
Ei nuota; per la stessa onda tranquilla
201Naviga coll’amante la mia vita.

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     La lampa al cui chiaror scrivo, scintilla
Lieta scoppiando, e d’avvenir felice
204Porge giocondi augurî alla pupilla.

     Ecco su’ fausti fochi la nutrice
Il vino infonde e, — Tre sarem domani, —
207Un colmo nappo tracannando, dice.

     Mio ben, fa’ che siam tre, fa’ che lontani
Mai più non siam: così t’arrida Amore,
210E l’onda al nuoto Citerea ti spiani.

     Perchè, perchè se t’ho rinchiuso in core,
Così di rado al tuo fianco mi assido?
213Torna, torna a tue tende, o disertore.

     Anch’io vorrei talor scender dal lido;
Poi m’arresta il pensier che alle donzelle
216È questo mar più che a’ garzoni infido.

     Frisso il varcava e l’incolpabil Elle;
Frisso fu salvo; e solo alla nemica
219Onda diè nome l’incolpabil Elle.

     Forse paventi che la lena antica
Al ritorno ti manchi e non risponda
222Dell’iterato nuoto alla fatica?

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     Io lasciando la mia, tu la tua sponda
Corriamo ad incontrarne a mezza strada,
225E baciamoci in volto a fior dell’onda;

     Poscia ciascuno alla natia contrada
Faccia ritorno. Picciol premio è certo;
228Ma partito è miglior starsene a bada?

     Oh, faccia Iddio che finalmente aperto
Sia l’amor nostro a tutti, e si rimova
231L’invido vel che l’ha finor coperto!

     Già vergogna ed amor fan mala prova
Congiunti in un: non so qual sceglier deggia;
234Che se l’una convien, l’altro ne giova.

     Perchè Giason non sei che nella reggia
Entra appena di Colco, ed a’ suoi lari
237Colla rapita vergine veleggia?

     Perchè non sei l’avventuroso Pari
Che viene a Lacedemone e repente
240Solca coll’involata Elena i mari?

     Chè se sovente vieni, anco sovente
Tu m’abbandoni e di nuotar non badi,
243Se per nave tornar non ti si assente

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     O vincitor de’ procellosi guadi,
Sfida pur l’onde e tuttavia le temi;
246Speme e paura avvicendar ti aggradi.

     Fracassate dal mar van le triremi,
Opra di mille artefici; e tu speri
249Che le tue braccia più possan de’ remi?

     Quel che tu fai, gl’intrepidi nocchieri
Paventano di far: rotto il naviglio,
252Nuotan sol presso a morte i passaggeri.

     Ahimè, che la paura io ti consiglio,
Folle! e poscia vorrei che de’ miei detti
255Tu più forte sfidassi ogni periglio.

     Lasciami delirar, pur che t’affretti
Ed uscendo dal mar l’umido braccio
258Avidamente all’omero mi getti.

     Ma quante volte a contemplar mi affaccio
Dalla finestra il pian dell’acque immenso
261Ratto per l’ossa mi trascorre un ghiaccio.

     E della scorsa notte anco ripenso
Tremante al sogno orribile, che sorta
264Tosto espiai con lagrime ed incenso.

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     Era sull’alba: tremolante e smorta
Dormicchiava la lampa, allor che vere
267Le novelle a’ mortali il sonno apporta.

     Semisopita mi lasciai cadere
Di mano il fuso e a torbido riposo,
270La guancia abbandonai sull’origliere.

     Qui veder mi parea pel mar spumoso
Vago delfin far cento giri e cento
273Mezzo sorto dall’onda e mezzo ascoso.

     Poi mi parea, che di traverso un vento
Impetuoso lo gittasse ai lidi,
276Ove giacea fra l’alghe avvolto e spento.

     Vera o falsa l’immagine che vidi,
Io n’ho paura. Alla venuta aspetta
279Tranquillo il mar, nè i sogni miei deridi.

     Se non curi di te, d’Ero diletta
Abbi almeno pietà, che intempestiva
282L’ora estrema a veder non sia costretta.

     Ma già speranza l’egro spirto avviva;
Sicuro per la placida bonaccia
285Tu potrai tosto abbandonar la riva.

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     Intanto, finchè dura la minaccia
Della gonfia marina, il tuo cordoglio
288E le dimore men gravi ti faccia

     Questo ch’Ero ti manda, amico foglio.