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Ruggero Deodato

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Ruggero Deodato al festival di Cannes nel 2008

Ruggero Deodato (1939 – 2022), regista e sceneggiatore italiano.

Citazioni di Ruggero Deodato

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Intervista di Davide Ottini, Horror.it, novembre 2011.

  • [Su Roberto Rossellini] Era un personaggio carismatico e riusciva ad affascinare tutti i membri di una troupe. Io stavo delle ore intere ad ascoltarlo. Lui aveva una predilezione per me, anche nei confronti del figlio dato che preferiva quasi dialogare con me piuttosto che con il figlio. Mi chiamava "Ruggerino" e mi presentava a tutti come uno sveglio, disponibile, preparato. Mi voleva davvero bene e da lui ho catturato tutto quello che si può catturare dal suo stile neorealista. Rossellini non era un grande tecnico e nemmeno si gloriava di esserlo. Lui era un istintivo, un creativo puro. E questa peculiarità io credo l’ho assorbita sicuramente.
  • [Su Carlo Ludovico Bragaglia] Lui mi ha insegnato il cinema dalla A alla Z nel senso che frequentando i suoi set ho carpito segreti e trucchi legati agli aspetti tecnici, ugualmente fondamentali per la riuscita di un film.
  • [Su Sergio Corbucci] Un regista che mi piace definire con la "R" maiuscola, con il quale ho fatto il salto nel genere comico, passando in un cinema contraddistinto da una tecnica ancora più spettacolare. Anche se era uno che a volte arrivava tardi sul set, Corbucci aveva però una grinta, una immediatezza e una risolutezza tali da lasciare stupefatti. Era molto piacevole girare con lui perché era una persona molto ironica, che sapeva divertirsi e far divertire i suoi collaboratori durante la lavorazione di un film.
  • Riccardo Freda per me era un genio vero. Perché era uno degli uomini più colti che io abbia mai conosciuto. È stato insignito, tra l’altro, anche della Croce D’Oro dell’Accademie De Francaise. Un cervello dinamico, geniale, innovatore, anche un po’ pazzo e spregiudicato perché quando girava era difficile stargli dietro. Era un treno, che non si arrestava davanti a nulla e risolveva qualunque problema sul set con delle intuizione incredibili.
  • [Su Ursus, il terrore dei kirghisi] Oggi me lo ricordo poco, perché è un film che vidi solo in fase di montaggio. Non andai mai nemmeno a vederlo al cinema. Anche perché in fondo non lo sentivo come un film totalmente mio.
  • [Su Fenomenal e il tesoro di Tutankamen] Nasce infatti come tentativo di dare un seguito alla scia dei film di James Bond, un sottogenere che andava di moda in quel periodo grazie ai film dell’agente 007!
  • [Su Uomini si nasce poliziotti si muore] È uno dei miei film preferiti e so per certo che piace anche a molti addetti ai lavori: Quentin Tarantino, durante un nostro recente incontro a Venezia, mi ha confessato di conoscerlo a memoria. Da non credere! Pensavo di essere famoso solo per Cannibal Holocaust.
  • [Sulla decisione di rendere i protagonisti di Uomini si nasce poliziotti si muore politicamente scorretti] L’origine di questa mia scelta deriva dal vissuto quotidiano della città di Roma e dalla conoscenza del tessuto sociale della metropoli capitolina: all’epoca esisteva una malavita romana pazzesca, crudele, che non risparmiava nessuno. A quei tempi ricordo che conobbi uno dei boss locali, un personaggio strano, un ometto alto non più di un metro e sessanta, che mi incuriosì molto. Una volta gli chiesi come era possibile per lui vivere quella vita e come aveva fatto ad "arrivare" in alto. La sua risposta mi ghiacciò il sangue «Perché io ho il coraggio di fare uccidere un uomo».
  • Sulla censura ti posso dire una cosa: l’ho sempre odiata! Trovo assurdo che si censurino film per il cinema, in cui totale è la libertà di scelta del cittadino nel decidere se e come andare a vedere una pellicola, rispetto alla Tv che invece è aperta e accessibile a tutti, soprattutto ai bambini, dove invece passano violenze di ogni genere. A me piaceva sfidare la censura, vedere le loro reazioni, anche se poi alla fine erano loro ad aver sempre ragione.
  • Non mi piace farmi catalogare od etichettare sotto queste definizioni, "gore, splatter, horror". Se ho messo in scena una violenza così truce l’ho sempre fatto perché quello era il grado di violenza che esisteva nella realtà di un dato contesto storico e geografico.
  • [Su Cannibal Holocaust] Mi fanno ridere quelli che lo definiscono film horror. Non è horror! È un film neorealistico, che narra di verità profonde, pratiche cannibaliche assolutamente orrende ma che esistevano ed erano quindi una realtà che io ho riportato il più fedelmente possibile su pellicola.
  • [Su Luca Barbareschi] Luca è un personaggio scomodo, ultimamente ho pure avuto degli scontri con lui per questioni di lavoro. Per molti giornalisti lui ha rinnegato il film Cannibal Holocaust, dicendo che non sapeva di dover fare un film così violento ed esplicito. Però la cosa a mio favore è che lui ha fatto il seguito di Cannibal Holocaust e cioè Inferno in diretta. Quindi è recidivo! Chiaramente è un personaggio che vuole stare con il pubblico ed i media e dunque ha paura di andare controcorrente. Per me, con questo comportamento ed in questo frangente ha dimostrato di essere un uomo poco corretto.
  • L’antropofagia era una delle pratiche più antiche dell’uomo. Perché nasceva come soddisfazione di un esigenza basilare per l’uomo che è quella alimentare. E poi perché nascondeva anche aspetti di carattere religioso, vedi ad esempio l’idea che avevano queste tribù primitive di impossessarsi della forza e dello spirito del nemico sconfitto mangiandone le carni.
  • [Su The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair] Effettivamente constatai che il film era davvero copiato, anzi foto-copiato perché adottava la stessa scaletta della mia pellicola [Cannibal Holocaust]. Mi fece un brutto effetto. Anche Oliver Stone mi confidò durante una sua visita a Roma «quei ragazzi hanno fatto fortuna con il film di Deodato, ma Deodato ha fatto altrettanta fortuna?»
  • Cannibal Holocaust è un film impossibile da ripetere, perché è frutto della creatività di quel dato momento storico. Un film piacevole da girare, in cui mi sono divertito, in cui ho dato libero sfogo al mio istinto, giorno per giorno. E forse è proprio per questo che è venuto così bene.
  • [Su The Barbarians] Non sono un grande amante dei fantasy ma quella pellicola invece mi è particolarmente gradita. Perché ho capovolto il film commistionando il genere epico/storico alla Conan il barbaro con elementi di divertissement inusuali per pellicole di quel filone. Il risultato è un film avventuroso ma divertente, in cui funzionano bene le gag fra i due gemelli culturisti che erano litigiosi tanto sulla pellicola quanto nella realtà.
  • [Su Un delitto poco comune] Un film questo che mi piace molto, del quale magari cambierei qualche cosa nel finale, forse un po' troppo appesantito da una manciata di scene non indispensabili. Un film che ho amato fare perché tratta di una dimensione molto realistica, quella dello sofferenza e del dolore indotto dalla malattia, nello specifico la progeria, una malattia molto rara che induce un invecchiamento accelerato dei tessuti e che, ovviamente, porta un uomo alla disperazione, alla solitudine e alla follia finale. È una riflessione personale sull'orrore reale della malattia. Mi interessava cogliere il senso di totale abbandono di ogni limite morale ed etico da parte di chi sa di non avere più alcuna chance di restare in vita. Una sorta di limbo folle e atavico in cui la malattia è la chiave di volta per liberare gli istinti più primordiali dell’uomo. Credo di aver ottenuto lo scopo che mi ero prefisso. È un film che mi soddisfa in toto.
  • Gli americani non hanno pregiudizi di sorta, guardano tutto, sono onnivori. Hanno un grosso vantaggio: se prendono un nostro film di serie C, una storia della quale intuiscono le potenzialità narrative, lo rifanno coi mezzi che hanno loro a disposizione ed eccoti servito il kolossal o il capolavoro. Con buona pace del modello originario di cui, pochi, si ricordano. È un po’ quello che fa, con furbizia, Quentin Tarantino...
  • A un certo punto il nostro cinema era diventato una vera e propria fucina di generi. Eravamo bravissimi nell’inventare e nel re-inventare fino alla saturazione (guarda tu cosa abbiamo fatto con il western!). Abbiamo sempre riproposto dei nuovi generi fino a che siamo arrivati al punto di aver spremuto fino all’osso le potenzialità creative e innovative di quei tipi di cinema.
  • Come si fa a pensare di poter vendere in TV un cinema nato per essere visto al cinema? Come si fa a pensare di snaturare il cinema di genere solo per poterlo far passare in un prime time televisivo? Fino a che qualcuno non avrà il coraggio di fare un film forte, fregandosene di queste fisime, trovo difficile una vera rinascita del cinema di genere.

Intervista di Krokodylus, Cinewalkofshame.wordpress.com, 17 settembre 2012.

  • La famiglia Rossellini abitava nel mio medesimo stabile ed io sono cresciuto con il figlio Renzo, il mio migliore amico. Ero un ragazzino abbastanza sveglio e divertente e il grande Roberto un bel giorno mi chiese di fargli da quinto assistente. Così sono entrato nel clan Rosselliniano dalla porta principale e una serie di circostanze a me favorevoli mi hanno portato a diventare, dopo appena due film, primo aiuto regista.
  • Gli animalisti infuriati si sono ricordati di me in questi ultimi anni, ogni volta che faccio vedere il film a un festival. A Trieste e Anzio ho ricevuto i maggiori insulti e addirittura dopo trent’anni, ad Anzio, la polizia ha bloccato la proiezione di Cannibal Holocaust. Gli animalisti dovrebbero prendere esempio da un popolo civile quale quello inglese, che passati trent’anni ha riabilitato il film; mi hanno persino festeggiato davanti a un gran pubblico londinese, promovendo il film a cult movie.
  • In Italia esiste la frase latina "nemo propheta in patria". All’estero chi dimostra di valere qualcosa viene aiutato ad emergere, e la loro critica aiuta ad esportare un film non bruciandolo, censurandolo e sforbiciandolo, ma semplicemente parlandone. Si preferisce la discussione alla censura.
  • Amo i film che usano la mia tecnica in una storia realistica. Odio invece quando viene usata nei film horror o splatter o di zombi.
  • Purtroppo i produttori di talento italiani sono spariti, e i giovani talentuosi registi si cimentano in commediole mediocri.

Taxidrivers.it, 16 gennaio 2016.

  • Molti della mia generazione ricevono ancora proposte, mentre io non né ho avuto mai una negli ultimi anni. Anche mentre giravo un film non ho mai avuto proposte per girare subito dopo un seguito.
  • [Su Ultimo mondo cannibale] È tutto ambientato in Malesia ed è stato girato con una troupe in mezzo alla giungla, tra serpenti e sanguisughe. I critici scrissero che l’avevo girato a Campo Imperatore in Abruzzo. Ma mi chiedo ancora come abbiano potuto mai fare un tale accostamento.
  • L’Abruzzo è poco abitato e lì è semplice trovare posti non sfruttati dal cinema. Poi è a due passi da Roma. Se hai un’esigenza sei ad un’ora da casa, quindi è un ottimo set per il cinema. E poi si mangia molto bene.
  • Alla mia età il fatto che mi chiamano ancora in pubblicità è un miracolo, perché la pubblicità la fanno i giovani. Ma quando vado a Milano ci sono registi pubblicitari che si portano sempre un copione di un film e si danno delle arie che mi fanno sentire una merda. Non posso neanche pronunciare il mio nome, perché loro si sentono qualcosa in più. Sono tutti così. Molti giovani non hanno un minimo di umiltà, tutti cresciuti vedendo la televisione.
  • Nel cinema la raccomandazione conta fino ad un certo punto, ma solo perché paga il produttore. Non è che si prende la prima che passa e la si mette a recitare. Invece, in televisione con due giorni diventi subito famoso. E quindi è facile che una disposta a fare il servizietto al funzionario di turno riesca a trovare lavoro.

Intervista di Mario Petillo, Ciakmagazine.it, 16 marzo 2016.

  • Ultimo mondo cannibale è stato uno dei film più faticosi che ho fatto. I primi giorni la troupe mi voleva uccidere, poi si sono ambientati. [...] I miei colleghi che giravano in Malesia andavano al parco nazionale di Kuala Lumpur, io e l’aiuto regista invece abbiamo preso un piccolo aereo e siamo andati nella giungla, quella vera. Vedendo quel paradiso decisi di girare proprio lì, accanto ai veri cannibali. Erano diciotto in tutto e c’era un ranger a sorvegliare sia noi che loro. Ricordo che mettevamo i pacchetti di sigarette a 150 metri e loro li centravano facilmente con le cerbottane. Erano straordinari. Gli aborigeni poi non avevano linguaggio o gestualità, emettevano solo dei suoni e per farli muovere mentre riprendevo ero costretto ad imitarli. Nel ’76 raccontavo cose che la gente non conosceva. Ora i turisti riescono ad andare ovunque, non vi è più verginità di location, invece all’epoca era un terreno inesplorato.
  • La differenza sostanziale è la libertà che ti dà il cinema rispetto alla fiction. In Il giorno dopo, ad esempio, ho scelto il cast senza nessun vincolo, invece nella televisione solitamente ti arriva un elenco con amici, amanti, mariti, mogli... Anche nel mondo della fiction però ho sempre cercato l’avventura.
  • Il realismo secondo me è la forma di cinema più bella.

Intervista di Mario Petillo, Cinema.everyeye.it, 18 marzo 2016.

  • Se non avessi fatto Cannibal Holocaust probabilmente non sarei qui a parlare con lei. Penso che quel film sia arrivato un po' come arriva il coniglio nel cilindro di un mago: è raro che possa ripetersi più di una volta. Però non ha avuto un grande successo in Italia, anzi direi che è stato quasi sfortunato. Chiaramente mi ha dato qualche guaio, ma nonostante questo in Italia nessuno si ricorda di me per quel film: tutti pensano a Ruggero Deodato per I ragazzi del muretto, per la pubblicità di UniEuro, ma nessuno parla di Cannibal Holocaust né di Uomini si nasce poliziotti si muore. Non si fanno più film così, nessuno in Italia ce la fa, eppure un film come quello non viene valorizzato, nessuno pensa mai a quello che ho fatto oltre alle pubblicità o alle fiction. Se invece ti trovi ad andare fuori dal mio Paese, già per esempio a Lugano, tutti mi accolgono a braccia aperte. D'altronde basti pensare che Quentin Tarantino e Eli Roth mi hanno dato più soddisfazione...
  • Tarantino disse, quando è venuto a Venezia, che sarebbe venuto soltanto se avesse avuto la possibilità di incontrarmi: vedemmo insieme Cannibal Holocaust. Eli Roth mi ha portato con sé al Festival di Roma, nessuno se l'aspettava. Per me sono tutte dimostrazioni d'affetto, che però arrivano solo dall'estero. Ma voglio essere chiaro: io non recrimino, perché non mi interessa fondamentalmente.
  • Era il 1976 e vidi su National Geographic delle foto di una tribù di cannibali: sembrava di vedere un film preistorico, tutti che accendevano il fuoco con le pietre, armati di scure, insomma era proprio l'età della pietra. Ne rimasi affascinato, poi a quei tempi fare un film era molto più facile: presentavi l'idea al produttore ed era molto più semplice realizzarla. Andai subito in Malesia insieme con Stefano Rolla, che all'epoca era il mio aiuto regista, poi morto a Nassirya mentre faceva delle riprese per un film ambientato in Iraq: partimmo senza problemi. Certo, ci misi tre anni per fare quel film. Col senno di poi, però, ti dico che è stato meglio così: ci ho lavorato di più, sono riuscito a inserire più cose, ho realizzato un canovaccio migliore di quello originale.
  • Ho fatto qualche film horror, ma la mia filmografia non lo è. Forse Il telefono che uccide è horror, ma io il cinema horror non l'ho nemmeno mai visto. Tolti i capisaldi come Shining, The Others, Rosemary's Baby, L'Esorcista, non li ho visti. Odio gli splatter e trovo che i film con gli zombie siano ridicoli, di una meccanica che si ricicla sempre. Ricordo che nell'81 dovevo fare un film sugli zombie, in Messico: accettai, ma in quel periodo mio padre stava per morire, quindi lo raggiunsi al suo capezzale per assisterlo nei suoi ultimi giorni di vita. Sebbene fosse in condizioni tragiche, passò un po' di tempo prima che morisse e questo rimandò la mia partenza per il Messico: la concitazione del momento, in ogni caso, mi spinse a essere scontroso con la produzione, che non capiva il mio momento di sofferenza e quindi il progetto saltò. Forse se avessi fatto quel film oggi sarei come George Romero, ma poi sono andato avanti, insomma. La storia non era nemmeno tanto male, ma sottolineo: io devo sempre metterci le mani sulla sceneggiatura. Non dico che devo rifarla, ma devo avere la libertà di adattarla alle mie esigenze.
  • [Sul cinema italiano] Al nostro cinema manca la capacità di emergere nel film di genere. Se ne fanno diversi, sì, ma non siamo ad altissimi livelli.
  • L'Italia comunque sta attraversando un periodo cinematografico in cui preferisce fare solo commedie. La verità è che la commedia si realizza più facilmente, ci metti poco a farla. Però non è che siamo poi così bravi a far ridere, noi. Spesso prendiamo soggetti dalla Francia.
  • Non c'è più Franco Nero, non c'è più attore che possa fare la parte del cattivo in Italia!
  • Perché in Italia non farà mai più un altro film: non può fare la commedia.

Intervista negli studi della Koch Media, Milluminodihorror.blogspot.com, 24 marzo 2016.

  • Dopo tanti anni che non facevo cinema avevo un po' paura perché tutti quanti si aspettano un film da me e tutti mi ritengono un maestro. I giovani giudicano le pellicole dicendo "è ben girato" e questo mi infastidisce perché un film non dev'essere ben girato ma ben recitato e ben scritto. Ad esempio di recente ho visto Suburra che è un buon film, poi ho visto Non Essere Cattivo. All'uscita dal cinema un mio fan mi ha chiesto: "Deodato, è ben girato il film?" ho risposto: "Questo è un capolavoro non c’entra niente col bel girato".
  • [Su The Green Inferno] Sono rimasto molto colpito dalle riprese alla giungla, realizzate con un drone; io per riprendere la giungla dall’alto in Malesia ci mettevo 6 ore e ho sempre rischiato la vita. In Inferno in Diretta giravo su un elicottero con la macchina a mano e un tizio che mi teneva dietro.
  • [Su The Green Inferno] Il film l’ho trovato ben fatto ma ci sono delle cose che mi urtano i nervi: quando vedo gli indios conciati come nel film di Mel Gibson [Apocalypto] dico "vabbè è una tarantinata"... ma perché gli hanno dato i 18 anni? È un film ironico, non puoi spacciarlo per film verità. Poi ha voluto fare un po’ l’intellettuale e ha citato Helzorg e questo mi ha fatto un po’ incazzare. Però il film è spettacolare, gli attori sono bravi soprattutto la protagonista, con la quale mi sarebbe piaciuto lavorare.
  • [Su Cannibal Holocaust] Io non ho voluto fare uno splatter, io ho voluto fare una denuncia. I giornalisti vogliono fare uno scoop e dove non c’è lo creano e nessuno dice nulla. Io invece faccio un film e me lo tagliano, me lo vogliono bruciare, mi mettono i 18 anni. Sai chi ha scoperto che era una denuncia e adesso è diventato un cult? Gli inglesi. È uscito in Inghilterra dopo 30 anni, l’ha visto un censore e l’ha fatto passare. 1500 studenti hanno scritto una relazione e tutti quanti hanno capito quale fosse il vero spirito di Cannibal Holocaust. Sono stato invitato a cena all’ambasciata italiana in Inghilterra, e l’indomani mattina c’è stata la proiezione. Il pubblico era molto diverso, più maturo, più “normale”. Pensa che la moglie di Joe Dante quando mi ha conosciuto è rimasta sorpresa che fossi una persona normale. I critici mi paragonano a Mattei o Joe D’amato, ma come cazzo fai? Io ho fatto 60 film come aiuto regista di Rossellini, Corbucci, Margheriti e tanti altri... di che parliamo? Perché mi devi mettere con gli squalificati? Che oltre tutto mi hanno imitato. Io sopravvivo perché ho abbracciato tutto, faccio pubblicità, televisione, documentari, fiction. Adesso mi sono cimentato con questo film, forse passerò dei guai ma chi se ne frega?
  • I miei maestri sono stati Rossellini che mi ha dato la realtà, Corbucci la crudeltà e Bolognini l’eleganza. Oggi chi è che conosce Mastroianni? Sono di un’ignoranza... i giovani d’oggi non hanno avuto 500 bravi registi sopra, non è neanche colpa loro... adesso ne nomini quattro e hai finito.
  • Adesso il cinema italiano è molto migliorato nella commedia, gli anni 90 non si potevano vedere, sempre con gli stessi attori. I registi oggi sono più acculturati. Invece il cinema di genere è finito.
  • Romero mi sta antipatico. [...] L'ho incontrato nel 2000 ad un festival a Barcellona, allora mi sono presentato: "Signor Romero I'm Ruggero Deodato" e lui ha detto: "Nice to meet you", si è girato e se n'è andato. Allora mi dicevano: "forse è nervoso, forse non ha mai visto un film tuo". Dopo quattro mesi sono andato al festival di Gèrardmer dove il presidente di giuria era Stuart Gordon e io selezionavo con lui dei film. Comincia il primo Cloverfield. Io mi giro verso Gordon e gli dico "Cannibal Holocaust" e lui "Yes", poi arriva Rec, io faccio "Cannibal Holocaust" e lui "Yes". Dopo arriva il film di Romero Diary of the Dead e io faccio "Cannibal Holocaust", e lui "Yes vaffanculo Romero!" Finale del festival, Gordon si rivolge alle 2500 persone presenti e dice: "this is not the Gérardmer Festival, this is the Ruggero Deodato festival! Romero, vaffanculo!" e tutti ad applaudire. Ma ti pare giusto? Aveva sicuramente visto il mio film, bastavano due parole. Tutti quelli che hanno copiato da me mi piacciono di più quando non ci mettono zombi o mostri. Comunque dopo quell'episodio l'ho incontrato tante altre volte e non l'ho mai salutato, adesso non so che farò!
  • Io non mi considero un regista horror e non guardo i film horror, a parte i classici. Gli splatter non mi piacciono, non li so fare. Magari avessi fatto io un film con gli zombi, Romero ha 300 persone in fila per l’autografo, io ne avrò 100.
  • Dietro a Inferno in diretta c'è una storia vera. Il film avrebbe dovuto farlo Wes Craven, lui aveva in mente una storia che io poi ho completamente cambiato. Un giorno vidi una colombiana che portava un bambino tra le braccia, quando è arrivata a New York l'hostess l'ha fermata e si è accorta che il bambino che era morto. L'autopsia rivelò che era pieno di droga, per cui mi sono ispirato a questo cambiando poi la storia. Il budget era abbastanza cospicuo, ho avuto un cast enorme e mi sono reso conto che quando faccio un film con sconosciuti faccio quello che voglio. Gli attori grossi hanno invece pretese elevate, peggio ancora le "mezze tacche".

Intervista di Antonella Romaniello, Horrormagazine.it, 25 marzo 2016.

  • Amo talmente il cinema e la macchina da presa che affronto qualsiasi genere con disinvoltura. Preferisco però il cinema di genere perché ti lascia libero di creare senza subire interferenze da attori "mostri sacri".
  • Sicuramente Uomini si nasce poliziotti si muore è uno dei miei film preferiti, il segreto della riuscita del film è nella scelta del cast. Il commissario Adolfo Celi era connivente alle imprese delittuose dei due poliziotti e lo faceva con ironia rendendo in tal modo i due protagonisti simpatici. Poi c’era la musica con la sua ballata che caratterizzava l’imprese nefaste dei due.
  • L’idea di Ultimo mondo cannibale nacque da un numero del 1972 della rivista National Geographic, "Stone age men of the philippines". Ho cannibalizzato completamente le foto e le notizie della rivista. Poi ho letto molti libri sull’antropologia e ho applicato fedelmente tutta la "lavorazione cannibalica" degli indigeni dei tempi passati.
  • [Su Cannibal Holocaust] Il film finalmente dopo 36 anni è diventato un cult, gli inglesi hanno decretato questo e chi è più animalista del popolo inglese?
  • Non credo che i registi d’oltre oceano siano meno crudeli e cinici nei loro film, sono soltanto falsamente pudichi nelle scene di sesso.

Intervista di Valentina Ariete, Movieplayer.it, 4 giugno 2016.

  • Per fare un film di genere non bastano i quattro soldi che servono per fare le commedie: ci vogliono le location e gli effetti speciali e i produttori in Italia non spendono per gli effetti speciali, spagnoli e francesi sì, ma gli italiani no. Inoltre non c'è più il mercato estero, una volta c'era il Mifid a Milano, straordinario, era uno dei migliori al mondo, adesso non c'è più. Ce lo siamo fatto sottrarre, sostituiti da Los Angeles e Berlino, quindi è sparita la nostra possibilità di vendere. Inoltre non ci sono più attori internazionali, non ne abbiamo più: prima anche un Franco Nero era internazionale, parlava inglese, ecco, questo è un altro punto fondamentale, bisogna parlare la lingua, perfino i registi italiani prima si davano un nome straniero per vendere in mercati come quello d'oriente, io stesso ho cambiato tre nomi! Una volta ero Roger Drake, una volta Rockefeller.
  • Ci vuole un coraggio che in Italia è difficile avere: se fai il cinema di genere tocchi dei tasti per cui vieni subito classificato politicamente, si dice subito "quello è di destra perché ha fatto La polizia ringrazia", o "quello è di sinistra perché ha raccontato la storia di un operaio". Ti etichettano con definizioni che non c'entrano nulla con i tuoi film. Adesso ho fatto un film in cui racconto un caso irrisolto e chissà cosa diranno.
  • Quando ho fatto Cannibal Holocaust in Italia si sono schierati subito contro, me l'hanno ucciso, mentre invece nel mondo è considerato un film importante. In Italia ancora oggi quando mi presentano dicono "il regista di I ragazzi del muretto" o "l'autore dello spot Gianni, l'ottimismo è il profumo della vita", non dicono mai "l'autore di Cannibal Holocaust", che ha incassato 300 milioni di dollari nel mondo e in Giappone è il secondo film più visto dopo E.T. L'Extraterrestre. Non lo dicono, non interessa. È proprio un esempio di quello che è successo al cinema di genere: l'hanno ammazzato
  • [Su Lo chiamavano Jeeg Robot] So che è un film di genere, però bisogna vedere che forza ha: può andare oltre Lugano? Perché se non può diventa un film di genere all'italiana: io quando faccio un film penso sempre all'estero, giro in inglese, Jeeg Robot non solo è in italiano ma è anche in dialetto romano, quindi mi domando se può avere un mercato internazionale.
  • Se io avessi realizzato Cannibal Holocaust come i due ragazzi che poi hanno fatto The Blair Witch Project - Il mistero della strega di Blair, che hanno usato internet per farsi pubblicità, probabilmente sarebbe arrivato a molte più persone, però, malgrado me l'abbiano ucciso, castrato, sequestrato e condannato, forse avrebbe avuto meno forza tra gli appassionati, perché all'epoca molte delle persone intervistate all'uscita del cinema dicevano: "Questo è un film che Deodato ha già fatto anni fa". Questo mi ha meravigliato perché il film ha dormito per 20 anni e poi è stato riscoperto proprio quando è uscito The Blair Witch Project: da allora loro non hanno fatto più nulla e io invece vado a firmare autografi in tutto il mondo. Quindi è strano come funziona internet.
  • Il digitale ha un vantaggio: ti permette di fare di tutto, ma ha anche dei difetti, come il problema della profondità. Fare un film in digitale nella giungla non è facile perché non ci sono i fuochi, però non si ha il problema di dover consumare poca pellicola: negli anni mi sono abituato a usarne poca, per il mio ultimo film invece, dovendolo anche girare in tre settimane e mezzo, sono andato tranquillo con il digitale, potendo anche ripetere alcune scene con gli attori.
  • Ultimamente quando sento dire ai giovani fuori dalla sala che un film è "ben girato" mi arrabbio da morire: perché ben girato? Perché fai muovere il drone sul set? Il cinema non è questo: bisogna raccontare bene. Se non c'è una buona scena, sia che rimani con la camera fissa, sia che ti muovi a destra e a sinistra, il film non c'è.
  • I genitori di oggi, noi, abbiamo allontanato la morte dai giovani. Una cosa che mi fa imbestialire: mi hanno crocifisso per aver ammazzato un maialino in Cannibal Holocaust, ma ai miei tempi uccidere il maiale era una cosa normale, come quando moriva un parente, tutti andavano a vederlo prima che lo portassero via. Adesso le mamme, quando gli muore il padre, dicono ai figli : "Devi ricordare il nonno quando era vivo", in questo modo annullano la morte. I giovani quindi vivono in questa situazione strana in cui da una parte negano la morte e dall'altra vedono in tv che in Iraq vengono ammazzate centomila persone. I genitori dicono ai figli che devono studiare e poi i media affermano che non c'è più futuro: ma che devono fare questi? Si anestetizzano con le droghe e basta. Noi invece avevamo la realtà, sempre: io andavo per strada a litigare con i coetanei anche a sassate, ti facevi male ma era la realtà, era uno scontro reale. Adesso un ragazzino si sbuccia un ginocchio e succede una tragedia, se prende un tre a scuola i genitori vanno a dire al professore: "Come si è permesso di dare tre a mio figlio?". Questo fatto di annullare la realtà e le vere difficoltà della vita ha distrutto tutto.
  • I critici dovrebbero aiutare a far emergere il talento: tra i nostri giovani ci sarà prima o poi un nuovo Rossellini e bisogna che i critici facciano da tramite con il pubblico.
  • Tarantino è particolare: quando cazzeggia, cazzeggia bene, è divertente. Ogni volta che guardo corti dei nostri giovani che provano a cazzeggiare come fa lui vedo che non lo sanno fare: per cazzeggiare bisogna saperlo fare come Tarantino, è talmente fuori di testa che alla fine gli stai appresso.

Intervista di Giampiero Raganelli, Quinlan.it, 14 novembre 2016.

  • Ci sono degli uomini che sono dei manovratori incredibili. A me danno fastidio già come attaccano a parlare. Vedo subito che possono manipolare qualsiasi donna. Sono terribili, mi fanno paura. Io sono l'opposto di queste persone. A volte mi chiedo: "Io riuscirò a fare il regista?", perché non riesco a manipolare un'attrice fino a un certo punto. Io lo faccio con grazia. Però non riuscirei a fare delle cose estreme. Probabilmente no. Forse l'ho fatto, ma in modo inconsapevole.
  • Sai una cosa che coinvolge la gioventù di adesso? L’ignoranza. Un’ignoranza tremenda. Non sanno un cavolo. Noi, negli anni Sessanta sapevamo tutto, anche cose di trent’anni prima. C’è una mancanza di memoria che è tremenda. Perché cascano come polli. Questa è la cosa che mi sconvolge. Adesso se tu chiedi a un giovane chi è Mastroianni, non sa chi è. Mastroianni? Chi è? E, posso dire una cosa tremenda? Un’americana pensa che il DNA di un nero sia lo stesso di tutti gli altri neri. C’è un’ignoranza. Io lo vedo nei giochi che fanno. Come fanno a non sapere le cose elementari.
  • Io amavo Jacopetti. [...] Non ho potuto usare la sua tecnica cinematografica, perché lui ha applicato i primi teleobiettivi, quelle immagini fantastiche, le fucilazioni. Quello non lo potevo fare perché io dovevo fare un film cialtrone, perché Cannibal Holocaust è cialtrone come film. Però lo amavo da morire. Poi però il film era un’accusa verso di lui. Quando tutti mi dicevano di andarlo a conoscere, perché era anziano ed era l’occasione, non ho avuto il coraggio. Trovavo che lui fosse un giornalista straordinario.
  • [Su Gualtiero Jacopetti e Africa addio] Lui è stato accusato di tutto. Di fascismo. Di aver detto ai soldati a proposito del condannato a morte: "Fucilatelo lì, a quell’ora, perché io devo preparare la cinepresa...". Io non farei mai una cosa del genere. È agli antipodi della mia mentalità. Ero contro. Però che sfida che ha lanciato. E poi era un bellissimo uomo, pieno di fascino, pieno di belle donne. È stato processato perché è andato con una zingarella minorenne.

Intervista di Luna Saracino, Cinematographe.it, 11 dicembre 2017.

  • L’anno prima vidi alcune foto di una tribù di cannibali e mi affascinò moltissimo il loro mondo, così mi documentai sulle origini del cannibalismo e decisi di scrivere e dirigere Ultimo Mondo Cannibale, l’anno successivo.
  • [Su Riz Ortolani] Avevamo un rapporto straordinario. Avevo un po’ di paura a chiedergli di comporre le musiche per Cannibal Holocaust, invece durante le riprese si è seduto con me alla moviola e a fine film mi ha guardato e mi ha detto: "Ruggero, sei un genio. Comporrò per te le musiche di questo film". Eravamo molto amici, Riz era una bellissima persona.
  • Non c’è più la passione di un tempo. Credo che la colpa principale sia l’allontanamento dello Stato dal cinema (peggiorato dall’avvento dei politici di allora). Ai miei tempi si giravano 400, 500 film in un anno. Adesso se ne fanno molti di meno. E quando mancano i film, manca anche la possibilità di fare gavetta, di imparare, di sporcarsi le mani su un set. Adesso i ragazzi non passano più per quella gavetta lì, sono già tutti registi, sceneggiatori, attori.
  • In tutti e tre i film [girati nella giungla], durante le riprese, avevo sempre una scimmia in grembo a farmi compagnia. Così ho realizzato che, come gli uomini, anche le scimmie si mescolano con le persone. E quando riconoscono che tra di loro c’è un capo (in questo caso ero io, il regista del film), si avvicinano a lui e non se ne allontanano più, difendendolo con tutte le forze che hanno. Pensa che per uno di questi film, durante l’ultimo giorno di riprese, la scimmia aveva capito che il giorno dopo sarei andato via ed ha pianto tutto il tempo. Quando il giorno dopo sono tornato a chiedere di lei, mi hanno risposto "È andata via, si è allontanata per andare a morire, da sola".
  • Sono molto amico di Eli Roth e lo stimo moltissimo, come uomo e come regista. Green Inferno, però, per me è un film sbagliato, sotto molti punti di vista. Credo che Eli si sia fatto prendere dalla paura e abbia cominciato a vaneggiare un po': terrorizzato all'idea che etichettassero il suo film come cinema di serie B, ha cominciato a citare Herzog, poi Tarantino... insomma di Deodato neanche l’ombra. Tempo dopo ha ammesso che il film partiva dai miei lavori, anche se io ci vedo molto più Ultimo Mondo Cannibale che Cannibal Holocaust, ma continuo a pensare che ci sia qualcosa che non vada nel film. Sì, le location sono meravigliose, gli attori bravissimi... ma che dire della tribù? Sembravano tutti finti, macchiettistici quasi. La cosa che mi è piaciuta di più di quel film? La dedica "A Ruggero", nei titoli di coda.

Intervista di Roberto Frini, Giornalepop.it, 6 febbraio 2018.

  • [Su Zenabel] Un film molto divertente, pieno di belle donne e con grossi calibri di attori americani. Purtroppo uscì nel 1969, il giorno della bomba in piazza Fontana a Milano, e il pubblico evitò in quel periodo i locali chiusi.
  • [Su Ultimo mondo cannibale] La trama del film la presi da un fatto realmente accaduto: un figlio di Rockfeller cadde con il suo Cessna in una foresta equatoriale e ai tempi si disse che dei cannibali se lo mangiarono. Le location le scelsi guardando alcune immagini su National Geographic fotografate nella gungla di Mindanao.
  • [Su Cannibal Holocaust] Pensavo di fare un film di cronaca di quei tempi. La televisione trasmetteva servizi con scoop violenti che alcuni giornalisti mistificavano pur di far effetto sul pubblico.
  • Rossellini il carismatico e l’umano, Corbucci il crudele, Margheriti il tecnico, Freda il genio, Ferroni un vecchio, troppo vecchio mestierante.
  • Amo molto seguire le storie girate nella maniera più semplice, in questo gli inglesi sono imbattibili.
  • Purtroppo i giovani italiani non hanno umiltà. Quando li incontro mi fanno sentire una nullità, tanta è la loro presunzione. E si vestono come tanti Fellini trendy.

Intervista di Antonello Santopaolo, Videogiochitalia.it, 14 settembre 2020.

  • [Su Cannibal Tales]Mi ha chiamato un ragazzo dal nome Andrea Valesini e mi ha detto se fossi stato interessato a fare dei videogiochi. Nonostante non abbia mai giocato coi videogames, forse l’unica volta che li ho visti ero in presenza di mio nipote che mi faceva fare le partite di calcio, ma la prima cosa che mi è venuta in mente è stata: “Che bella idea!”, così facendo chiudo il cerchio del mondo spettacolo. Nella mia carriera ho fatto di tutto e di più, mi mancano solo i videogiochi, quindi ho accettato con piacere, scrivendo una sceneggiatura cannibalica e al tempo stesso adoperandomi per stare con loro ogni volta che hanno bisogno per alcune indicazioni, per descrivere gli indios e tutto quanto. In conclusione, sono felicissimo e a disposizione per apprendere anche da loro.
  • La fonte cannibalica forse più ben scritta è quella di Ultimo mondo cannibale dove mi sono rifatto al vero cannibalismo attraverso delle immagini di National Geographic, mediante dei libri. Insomma, Ultimo Mondo Cannibale è il vero film cannibalico, poi l’altro, ovvero Cannibal Holocaust è un’idea geniale. In questo videogioco ho deciso di inserire i cannibali però in modo diverso, incentrato più sulla città, non solo nella giungla. Sono soddisfatto e trovo molto funzionale e piacevole la storia, tanto da interessare gli autori dei videogiochi.

Filmografia

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