Previdenza sociale: differenze tra le versioni

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L'industrializzazione e le sue conseguenze modificarono l'atteggiamento nei confronti della povertà, sollecitando una maggiore sensibilità per i problemi sociali. Le risposte al pauperismo furono differenti, diversificate e complementari. In Inghilterra la legge sui poveri del 1834 comportò un peggioramento dell'assistenza, informandosi alle principali interpretazioni [[Liberalismo|liberali]] e [[Utilitarismo|utilitaristiche]] del tempo. Nel 1834 venne introdotta la ''Poor Law Reform Act'', che, con l'abolizione della Speenbamland Law, segno «la vera data di nascita della classe operaia moderna» e la definitiva trasformazione della società in un [[economia di mercato]].<ref>{{cita|Polanyi, 1974|p. 128}}.</ref> Il First Reform Bill e il Poor Law Amendment Act vennero considerati come il punto di avvio del sistema capitalistico, ponendo fine a ciò che e stata chiamata la «norma del padrone bonario e del suo sistema di assistenza».<ref>{{cita|Polanyi, 1974|p. 103}}.</ref> Di fatto con l'affermarsi dei principi del [[liberismo economico]] si modificò in senso restrittivo la legislazione sui poveri, confermando la tendenza di disimpegno dello Stato rispetto alla loro assistenza. Di converso fu in seno alle prime associazioni operaie che si ebbe l'importante affermazione del principio mutualistico. Le [[società di mutuo soccorso]] (''friendly societies'') sorsero inizialmente in [[Gran Bretagna]] (per tutelare solo le élite degli operai specializzati) e vennero prese poco dopo in considerazione anche in [[Impero tedesco|Germania]], come alternativa all'assicurazione sociale statale. Il radicarsi dell'associazionismo operaio portò alle prime rilevanti conquiste normative. Anche il resto d'Europa conobbe lo sviluppo delle organizzazioni del movimento operaio e [[Socialismo|socialista]] e un progressivo prevalere della componente politica su quella sindacale. Una delle reazioni dei governi, dinnanzi alla paura di sconvolgimenti rivoluzionari, fu allora l'invenzione delle assicurazioni sociali.
L'industrializzazione e le sue conseguenze modificarono l'atteggiamento nei confronti della povertà, sollecitando una maggiore sensibilità per i problemi sociali. Le risposte al pauperismo furono differenti, diversificate e complementari. In Inghilterra la legge sui poveri del 1834 comportò un peggioramento dell'assistenza, informandosi alle principali interpretazioni [[Liberalismo|liberali]] e [[Utilitarismo|utilitaristiche]] del tempo. Nel 1834 venne introdotta la ''Poor Law Reform Act'', che, con l'abolizione della Speenbamland Law, segno «la vera data di nascita della classe operaia moderna» e la definitiva trasformazione della società in un [[economia di mercato]].<ref>{{cita|Polanyi, 1974|p. 128}}.</ref> Il First Reform Bill e il Poor Law Amendment Act vennero considerati come il punto di avvio del sistema capitalistico, ponendo fine a ciò che e stata chiamata la «norma del padrone bonario e del suo sistema di assistenza».<ref>{{cita|Polanyi, 1974|p. 103}}.</ref> Di fatto con l'affermarsi dei principi del [[liberismo economico]] si modificò in senso restrittivo la legislazione sui poveri, confermando la tendenza di disimpegno dello Stato rispetto alla loro assistenza. Di converso fu in seno alle prime associazioni operaie che si ebbe l'importante affermazione del principio mutualistico. Le [[società di mutuo soccorso]] (''friendly societies'') sorsero inizialmente in [[Gran Bretagna]] (per tutelare solo le élite degli operai specializzati) e vennero prese poco dopo in considerazione anche in [[Impero tedesco|Germania]], come alternativa all'assicurazione sociale statale. Il radicarsi dell'associazionismo operaio portò alle prime rilevanti conquiste normative. Anche il resto d'Europa conobbe lo sviluppo delle organizzazioni del movimento operaio e [[Socialismo|socialista]] e un progressivo prevalere della componente politica su quella sindacale. Una delle reazioni dei governi, dinnanzi alla paura di sconvolgimenti rivoluzionari, fu allora l'invenzione delle assicurazioni sociali.


Rispetto al carattere occasionale, residuale e discrezionale dell'assistenza l'introduzione dell'assicurazione obbligatoria (il nucleo forte del welfare moderno) segna una vera cesura. La Germania la introdusse nel 1883 contro le malattie, nel 1884 contro gli infortuni e nel 1889 contro la vecchiaia e l'invalidità. Se l'ulteriore processo di [[industrializzazione]] aveva infatti favorito il varo di più schemi assicurativi, l'influenza delle politiche [[Otto von Bismarck|bismarckiane]] giocò un fattore altrettanto decisivo, soprattutto in ordine al nuovo ruolo dello Stato in materia sociale. Gli elementi di novità delle assicurazioni erano nella loro obbligatorietà che, di fatto, ne istituzionalizzava il carattere occupazionale (e contributivo),<ref>I sistemi di sicurezza sociale occupazionali sono basati su mutue e prevedono prestazioni diverse a seconda del reddito e dell'occupazione di partenza. Quelli universalistici sono basati su sistemi di sicurezza nazionale e prevedono prestazioni di base eguali per tutti i cittadini .</ref> nel beneficiario al quale si rivolgevano (il lavoratore appartenente al settore industriale avanzato), nella loro natura di fondo. A differenza della tradizionale assistenza ai poveri le assicurazioni sociali crearono un diritto individuale dell'assicurato alle prestazioni che non erano stabilite a discrezione delle istituzioni locali, bensì in base a quanto stabilito dalla legislazione nazionale in modo centralizzato e secondo l'implicito riconoscimento che «esistevano cause sociali di bisogno di cui il singolo non era responsabile».<ref>{{cita|Ritter, 1996|p. 63}}.</ref>
Rispetto al carattere occasionale, residuale e discrezionale dell'assistenza l'introduzione dell'assicurazione obbligatoria (il nucleo forte del welfare moderno) segna una vera cesura. La Germania la introdusse nel 1883 contro le malattie, nel 1884 contro gli infortuni e nel 1889 contro la vecchiaia e l'invalidità. Se l'ulteriore processo di [[industrializzazione]] aveva infatti favorito il varo di più schemi assicurativi, l'influenza delle politiche [[Otto von Bismarck|bismarckiane]] giocò un fattore altrettanto decisivo, soprattutto in ordine al nuovo ruolo dello Stato in materia sociale. Gli elementi di novità delle assicurazioni erano nella loro obbligatorietà che, di fatto, ne istituzionalizzava il carattere occupazionale (e contributivo),<ref>I sistemi di sicurezza sociale occupazionali sono basati su mutue e prevedono prestazioni diverse a seconda del reddito e dell'occupazione di partenza. Quelli universalistici sono basati su sistemi di sicurezza nazionale e prevedono prestazioni di base eguali per tutti i cittadini.</ref> nel beneficiario al quale si rivolgevano (il lavoratore appartenente al settore industriale avanzato), nella loro natura di fondo. A differenza della tradizionale assistenza ai poveri le assicurazioni sociali crearono un diritto individuale dell'assicurato alle prestazioni che non erano stabilite a discrezione delle istituzioni locali, bensì in base a quanto stabilito dalla legislazione nazionale in modo centralizzato e secondo l'implicito riconoscimento che «esistevano cause sociali di bisogno di cui il singolo non era responsabile».<ref>{{cita|Ritter, 1996|p. 63}}.</ref>


Il primo schema assicurativo obbligatorio fu quello contro gli infortuni, scelta, questa, dovuta più motivi. Poco dopo si ebbe l'estensione dell'assicurazione alle malattie e alla vecchiaia/invalidità sino a quella contro la [[disoccupazione]] che rappresentò il passaggio di maggiore rottura rispetto alla tradizione liberale, incline a considerare la disoccupazione come portato di mera incapacità individuale (non prodotto dai meccanismi della società e del mercato). Pioniera fu la Gran Bretagna (1911), seguita da [[Regno d'Italia (1861-1946)|Italia]] e [[Impero austriaco|Austria]] (1919 e 1920). La vicinanza tra i vari paesi negli anni di introduzione dei primi schemi assicurativi – da fine Ottocento ai primi anni del Novecento – fu dovuta a una comune cornice. In primis la necessità da parte degli Stati nazionali di garantire l'integrazione sociale delle masse lavoratrici inserite nel sistema capitalistico-industriale; la crescente razionalizzazione degli apparati statali europei che fornì le risorse amministrative necessarie; e infine, la diffusa e sempre maggiore mobilitazione dei lavoratori. Rispetto a questi fattori, fu peculiare la singola realtà politica e istituzionale nella quale essi agirono. Nei contesti monarchici autoritari l'organizzazione operaia costrinse i governi, allertandoli, a concedere l'assicurazione obbligatoria ai fini del controllo sociale e della autolegittimazione; in quelli parlamentari essa venne fatta propria dai programmi dei partiti delle classi lavoratrici e introdotta con consistenti maggioranze parlamentari. Sino alla [[Prima guerra mondiale]] si sperimentarono soluzioni istituzionali e amministrative che avrebbero fornito le basi alla successiva crescita dei vari welfare state.
Il primo schema assicurativo obbligatorio fu quello contro gli infortuni, scelta, questa, dovuta più motivi. Poco dopo si ebbe l'estensione dell'assicurazione alle malattie e alla vecchiaia/invalidità sino a quella contro la [[disoccupazione]] che rappresentò il passaggio di maggiore rottura rispetto alla tradizione liberale, incline a considerare la disoccupazione come portato di mera incapacità individuale (non prodotto dai meccanismi della società e del mercato). Pioniera fu la Gran Bretagna (1911), seguita da [[Regno d'Italia (1861-1946)|Italia]] e [[Impero austriaco|Austria]] (1919 e 1920). La vicinanza tra i vari paesi negli anni di introduzione dei primi schemi assicurativi – da fine Ottocento ai primi anni del Novecento – fu dovuta a una comune cornice. In primis la necessità da parte degli Stati nazionali di garantire l'integrazione sociale delle masse lavoratrici inserite nel sistema capitalistico-industriale; la crescente razionalizzazione degli apparati statali europei che fornì le risorse amministrative necessarie; e infine, la diffusa e sempre maggiore mobilitazione dei lavoratori. Rispetto a questi fattori, fu peculiare la singola realtà politica e istituzionale nella quale essi agirono. Nei contesti monarchici autoritari l'organizzazione operaia costrinse i governi, allertandoli, a concedere l'assicurazione obbligatoria ai fini del controllo sociale e della autolegittimazione; in quelli parlamentari essa venne fatta propria dai programmi dei partiti delle classi lavoratrici e introdotta con consistenti maggioranze parlamentari. Sino alla [[Prima guerra mondiale]] si sperimentarono soluzioni istituzionali e amministrative che avrebbero fornito le basi alla successiva crescita dei vari [[Stato sociale|welfare state]].


Già a partire dagli ultimi anni dell'Ottocento in alcuni paesi (in particolare in [[Danimarca]] e in [[Nuova Zelanda]]) venne adottato un nuovo criterio rispetto a quello occupazionale e contributivo proprio delle prime forme di welfare, il quale avrebbe trovato una più estesa applicazione all'inizio del nuovo secolo.
Già a partire dagli ultimi anni dell'Ottocento in alcuni paesi (in particolare in [[Danimarca]] e in [[Nuova Zelanda]]) venne adottato un nuovo criterio rispetto a quello occupazionale e contributivo proprio delle prime forme di welfare, il quale avrebbe trovato una più estesa applicazione all'inizio del nuovo secolo.
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=== Il Nord Europa e i diversi sistemi previdenziale nel dopoguerra ===
=== Il Nord Europa e i diversi sistemi previdenziale nel dopoguerra ===
Egualmente importante fu la stagione delle riforme sociali realizzate nell'Europa del Nord. I provvedimenti presi nei paesi scandinavi dopo la fine della guerra sono considerati altrettanto fondativi del moderno stato sociale (sia che li si consideri un'autonoma prosecuzione dei programmi introdotti già nel 1914, sia che vi si vedano riflessi delle idee di Beveridge). Quello scandinavo anzi è stato considerato, più del britannico, un «prototipo dell'idea di T. H. Marshall di cittadinanza sociale».<ref>{{cita|Esping-Andersen, 1984|p. 87}}.</ref> Un ruolo decisivo ebbe la Svezia, dove si introdussero le pensioni popolari finanziate per il 70% dal prelievo fiscale e dove fu forte l'insistenza sui principi dell'egualitarismo, della collaborazione tra i cittadini e della parità delle opportunità. Il portato universalista delle scelte qui operate fu soprattutto nell'abolizione della 'prova dei mezzi' per l'accesso alle prestazioni in denaro (l'obbligo di provare da parte di coloro che non versavano contributi lo stato di bisogno effettivo per avere la pensione).
Egualmente importante fu la stagione delle riforme sociali realizzate nell'Europa del Nord. I provvedimenti presi nei paesi scandinavi dopo la fine della guerra sono considerati altrettanto fondativi del moderno stato sociale (sia che li si consideri un'autonoma prosecuzione dei programmi introdotti già nel 1914, sia che vi si vedano riflessi delle idee di Beveridge). Quello scandinavo anzi è stato considerato, più del britannico, un «prototipo dell'idea di [[Thomas Humphrey Marshall|T. H. Marshall]] di cittadinanza sociale».<ref>{{cita|Esping-Andersen, 1984|p. 87}}.</ref> Un ruolo decisivo ebbe la Svezia, dove si introdussero le pensioni popolari finanziate per il 70% dal prelievo fiscale e dove fu forte l'insistenza sui principi dell'egualitarismo, della collaborazione tra i cittadini e della parità delle opportunità. Il portato universalista delle scelte qui operate fu soprattutto nell'abolizione della 'prova dei mezzi' per l'accesso alle prestazioni in denaro (l'obbligo di provare da parte di coloro che non versavano contributi lo stato di bisogno effettivo per avere la pensione).


Da uno sguardo complessivo emerge come alla fine della guerra le istanze universaliste furono al centro dei programmi e dei dibattiti delle nuove politiche sociali nazionali, imponendosi però in modo decisivo a metà degli anni Quaranta soltanto in Gran Bretagna e Svezia (e nei paesi anglosassoni e scandinavi). Diversamente, in ampia parte dell'area continentale non riuscì «il trapianto dell'universalismo sul tronco occupazionale».<ref>{{cita libro|autore=Maurizio Ferrera|titolo=Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie|editore=il Mulino|città=Bologna|anno=1993|p=58}}</ref> Le eredità delle precedenti politiche sociali e il riemergere dei consueti meccanismi di polarizzazione e segmentazione portarono in paesi come la Francia, il Belgio, la Germania e l'Austria (definiti infatti come occupazionali puri) alla conferma dei tradizionali schemi previdenziali di categoria. Tra la fine della Seconda molti welfare state occupazionali cercarono di avvicinarsi al modello universalistico, trasformandosi in sistemi "occupazionali misti" ([[Svizzera]], [[Paesi Bassi]], [[Irlanda]], [[Italia]]).
Da uno sguardo complessivo emerge come alla fine della guerra le istanze universaliste furono al centro dei programmi e dei dibattiti delle nuove politiche sociali nazionali, imponendosi però in modo decisivo a metà degli anni Quaranta soltanto in Gran Bretagna e Svezia (e nei paesi anglosassoni e scandinavi). Diversamente, in ampia parte dell'area continentale non riuscì «il trapianto dell'universalismo sul tronco occupazionale».<ref>{{cita libro|autore=Maurizio Ferrera|titolo=Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie|editore=il Mulino|città=Bologna|anno=1993|p=58}}</ref> Le eredità delle precedenti politiche sociali e il riemergere dei consueti meccanismi di polarizzazione e segmentazione portarono in paesi come la Francia, il Belgio, la Germania e l'Austria (definiti infatti come occupazionali puri) alla conferma dei tradizionali schemi previdenziali di categoria. Tra la fine della Seconda molti welfare state occupazionali cercarono di avvicinarsi al modello universalistico, trasformandosi in sistemi "occupazionali misti" ([[Svizzera]], [[Paesi Bassi]], [[Irlanda]], [[Italia]]).

Versione delle 14:40, 2 lug 2024

La previdenza sociale è un ramo della legislazione sociale che ha come fine la tutela del lavoratore dai rischi conseguenti alla menomazione o alla perdita della sua capacità lavorativa a causa di eventi predeterminati.

Sorta storicamente in relazione alle condizioni di bisogno dei lavoratori subordinati, la tutela previdenziale è stata poi gradualmente estesa a tutti i produttori di reddito da lavoro. In Italia, la previdenza sociale ha assunto un ruolo centrale dell'economia nazionale e nella politica di redistribuzione dei redditi, più che negli altri paesi europei e industrializzati, in quanto la spesa pubblica dello Stato in rapporto al Prodotto interno lordo (PIL) è tra le più alte. Ciò incide anche nelle politiche fiscali, sociali e dello sviluppo in quanto per finanziare con le imposte tale servizio pubblico si è costretti a distoglierle da altri importanti settori o aree economiche-industriali.

Storia

Dall'assistenza allo Stato sociale

La workhouse di Chell, nella contea di Staffordshire, 1839 circa

Lo Stato sociale inizia il proprio percorso nel maturo XIX secolo, benché le sue radici affondino in Europa nell'assistenza ai poveri, sviluppatasi in tutti gli Stati già dal XVI secolo e tradotta in leggi organiche di stampo assistenziale e repressivo (Poor Laws). Il fenomeno del pauperismo iniziò a essere oggetto di misure legislative di regolamentazione nell'Inghilterra di Elisabetta I. A norma delle disposizioni che confluirono nella Poor Law del 1601 l'erogazione di sussidi passava per il riconoscimento dello status di povero ovvero per la disponibilità del povero ad accettare il ricovero forzato presso apposite strutture. Quello dell'internamento fu lo strumento più utilizzato, accanto alla pratica della concessione di elemosine o sussidi per alcune categorie di bisognosi. Coloro che non erano in grado di svolgere alcun tipo di lavoro finivano negli ospizi di mendicità, coloro che invece erano in grado di lavorare finivano per svolgere un'attività all'esterno o in istituti appositi, le workhouses. Le finalità repressive della legge elisabettiana ispirarono altre legislazioni europee del periodo.

Seguì una tendenza assai restrittiva, volta a incentivare gli interventi punitivi nei confronti degli indigenti, a limitare l'assistenza pubblica e a favorire il lavoro coatto e l'internamento nelle workhouses.

La povertà venne dunque affrontata in Europa per lungo tempo come una questione di ordine pubblico. Le necessità connesse al nascente decollo industriale e al sistema di mercato, non meno che gli effetti derivanti dalle due rivoluzioni settecentesche e prima ancora dagli stessi principi dell'Illuminismo, non furono prive di conseguenze rispetto al problema del pauperismo. Da un lato, la Rivoluzione francese riconobbe il ruolo attivo dello Stato nei rapporti sociali; dall'altro sia il Gilbert's Act del 1782, con il quale si attenuò il principio dell'obbligatorietà del ricovero nelle workhouses, sia una riduzione delle misure a favore del lavoro coatto fecero emergere l'esigenza di liberalizzare il mercato del lavoro per avere numerosa manodopera disponibile, soprattutto mobile, e a basso costo. D'altronde il processo di creazione di un mercato nazionale del lavoro fu, specie nella culla del capitalismo nascente segnato da spinte contraddittorie: nel maggio 1795 venne varata la Speenhamland Law che, di fatto, stabilì il principio dell'assistenza proporzionata al costo della vita per i poveri abili al lavoro, ossia una sorta di pretesa legale alla sussistenza. Si assicurava così ai poveri un reddito minimo indipendente dai loro guadagni, riportando in auge il sistema paternalistico dell'organizzazione del lavoro precedente e ostacolando l'istituzione di un mercato concorrenziale del lavoro.

La Speenhamland Law rappresentò una delle ultime forme di protezione – portato di un certo paternalismo reazionario – dell'Inghilterra rurale e quindi della stessa popolazione lavoratrice rispetto alla forza del meccanismo di mercato.[1]

Sede della Royal London Friendly Society

L'industrializzazione e le sue conseguenze modificarono l'atteggiamento nei confronti della povertà, sollecitando una maggiore sensibilità per i problemi sociali. Le risposte al pauperismo furono differenti, diversificate e complementari. In Inghilterra la legge sui poveri del 1834 comportò un peggioramento dell'assistenza, informandosi alle principali interpretazioni liberali e utilitaristiche del tempo. Nel 1834 venne introdotta la Poor Law Reform Act, che, con l'abolizione della Speenbamland Law, segno «la vera data di nascita della classe operaia moderna» e la definitiva trasformazione della società in un economia di mercato.[2] Il First Reform Bill e il Poor Law Amendment Act vennero considerati come il punto di avvio del sistema capitalistico, ponendo fine a ciò che e stata chiamata la «norma del padrone bonario e del suo sistema di assistenza».[3] Di fatto con l'affermarsi dei principi del liberismo economico si modificò in senso restrittivo la legislazione sui poveri, confermando la tendenza di disimpegno dello Stato rispetto alla loro assistenza. Di converso fu in seno alle prime associazioni operaie che si ebbe l'importante affermazione del principio mutualistico. Le società di mutuo soccorso (friendly societies) sorsero inizialmente in Gran Bretagna (per tutelare solo le élite degli operai specializzati) e vennero prese poco dopo in considerazione anche in Germania, come alternativa all'assicurazione sociale statale. Il radicarsi dell'associazionismo operaio portò alle prime rilevanti conquiste normative. Anche il resto d'Europa conobbe lo sviluppo delle organizzazioni del movimento operaio e socialista e un progressivo prevalere della componente politica su quella sindacale. Una delle reazioni dei governi, dinnanzi alla paura di sconvolgimenti rivoluzionari, fu allora l'invenzione delle assicurazioni sociali.

Rispetto al carattere occasionale, residuale e discrezionale dell'assistenza l'introduzione dell'assicurazione obbligatoria (il nucleo forte del welfare moderno) segna una vera cesura. La Germania la introdusse nel 1883 contro le malattie, nel 1884 contro gli infortuni e nel 1889 contro la vecchiaia e l'invalidità. Se l'ulteriore processo di industrializzazione aveva infatti favorito il varo di più schemi assicurativi, l'influenza delle politiche bismarckiane giocò un fattore altrettanto decisivo, soprattutto in ordine al nuovo ruolo dello Stato in materia sociale. Gli elementi di novità delle assicurazioni erano nella loro obbligatorietà che, di fatto, ne istituzionalizzava il carattere occupazionale (e contributivo),[4] nel beneficiario al quale si rivolgevano (il lavoratore appartenente al settore industriale avanzato), nella loro natura di fondo. A differenza della tradizionale assistenza ai poveri le assicurazioni sociali crearono un diritto individuale dell'assicurato alle prestazioni che non erano stabilite a discrezione delle istituzioni locali, bensì in base a quanto stabilito dalla legislazione nazionale in modo centralizzato e secondo l'implicito riconoscimento che «esistevano cause sociali di bisogno di cui il singolo non era responsabile».[5]

Il primo schema assicurativo obbligatorio fu quello contro gli infortuni, scelta, questa, dovuta più motivi. Poco dopo si ebbe l'estensione dell'assicurazione alle malattie e alla vecchiaia/invalidità sino a quella contro la disoccupazione che rappresentò il passaggio di maggiore rottura rispetto alla tradizione liberale, incline a considerare la disoccupazione come portato di mera incapacità individuale (non prodotto dai meccanismi della società e del mercato). Pioniera fu la Gran Bretagna (1911), seguita da Italia e Austria (1919 e 1920). La vicinanza tra i vari paesi negli anni di introduzione dei primi schemi assicurativi – da fine Ottocento ai primi anni del Novecento – fu dovuta a una comune cornice. In primis la necessità da parte degli Stati nazionali di garantire l'integrazione sociale delle masse lavoratrici inserite nel sistema capitalistico-industriale; la crescente razionalizzazione degli apparati statali europei che fornì le risorse amministrative necessarie; e infine, la diffusa e sempre maggiore mobilitazione dei lavoratori. Rispetto a questi fattori, fu peculiare la singola realtà politica e istituzionale nella quale essi agirono. Nei contesti monarchici autoritari l'organizzazione operaia costrinse i governi, allertandoli, a concedere l'assicurazione obbligatoria ai fini del controllo sociale e della autolegittimazione; in quelli parlamentari essa venne fatta propria dai programmi dei partiti delle classi lavoratrici e introdotta con consistenti maggioranze parlamentari. Sino alla Prima guerra mondiale si sperimentarono soluzioni istituzionali e amministrative che avrebbero fornito le basi alla successiva crescita dei vari welfare state.

Già a partire dagli ultimi anni dell'Ottocento in alcuni paesi (in particolare in Danimarca e in Nuova Zelanda) venne adottato un nuovo criterio rispetto a quello occupazionale e contributivo proprio delle prime forme di welfare, il quale avrebbe trovato una più estesa applicazione all'inizio del nuovo secolo.

La stagione di riforme apertasi a fine secolo trovò un punto di approdo nella legge svedese varata poco prima dello scoppio della guerra (1913), con la quale vennero istituiti uno schema pensionistico obbligatorio per la vecchiaia e l'invalidità dall'impronta universalistica, come era stato per la Danimarca e sarebbe stato per la Gran Bretagna.[6] Il riformismo di inizio secolo si accompagnò a una nuova stagione politica. Nel Regno Unito sotto il nuovo governo di collaborazione tra l'ala progressista del partito liberale e il nascente partito laburista si puntò alla realizzazione di alcune rilevanti riforme sociali. Si presero i primi provvedimenti per affrontare il problema della disoccupazione sino all'assicurazione obbligatoria del 1911; si mise mano a una riforma della legislazione sul lavoro; si arrivò al nuovo provvedimento di tipo universalistico relativo alle pensioni di vecchiaia. La novità era sia in questa impronta universalistica sia nel fatto che solo lo Stato finanziava il sistema pensionistico, tramite l'incremento contribuzione fiscale. Tuttavia nonostante l'alto valore simbolico, la legge ebbe una «modesta portata economica»[7], dovuta a  una serie di effettivi limiti.

In Francia sotto la spinta di una nuova stagione politica si presero alcuni importanti provvedimenti in campo assistenziale e previdenziale volti, a incrementare l'intervento dello Stato. Tuttavia anche qui alcune disposizioni si rivelarono limitate, in ordine all'esiguità delle pensioni erogate e ai requisiti stabiliti.

Negli Stati Uniti d'America, dove la situazione era più arretrata e dove, a differenza dell'Europa, aveva avuto grande valore la tutela privata, si giunse solo ai primi del Novecento ad alcuni importanti provvedimenti tra i quali l'introduzione dello schema di assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro. Le novità e le caratteristiche principali assunte dagli esordienti sistemi nazionali di protezione sociale concernevano: l'affermazione piena dell'obbligatorietà delle assicurazioni con il progressivo declino del loro carattere volontario; lo sviluppo di un nuovo e ulteriore schema di tutela (a copertura del rischio di disoccupazione); l'ampliamento dei beneficiari.

Le politiche sociali degli anni Trenta in Europa e oltreoceano

Poster che pubblicizza l'adozione del Social Security Act negli Stati Uniti

La grande crisi del 1929 ebbe effetti dirompenti nella riformulazione degli assetti economici e sociali dei singoli contesti nazionali, soprattutto in relazione alle nuove politiche varate tanto dagli Stati totalitari quanto dagli Stati democratici. La «grande trasformazione» (per riprendere Karl Polanyi, 1974) degli anni Trenta costituisce, infatti, in termini temporali, un osservatorio privilegiato dal quale cogliere i punti di crisi del sistema istituzionale liberale e le nuove strategie di governo della società adottate a livello mondiale. Gli effetti della crisi, dalla disoccupazione di massa alle gravi difficoltà che colpirono l'economia di mercato portarono a problematizzare, in termini nuovi, il ruolo dello Stato nella vita economica e sociale delle comunità nazionali. In particolare si rivelò determinante la predisposizione di moderni programmi orientati a promuovere un intervento pubblico, una pianificazione sociale volta a soddisfare i bisogni basilari.

Centrale fu una rottura con l'ortodossia del libero mercato e l'adozione di politiche incentrate su uno «stimolo della domanda attraverso deficit di bilancio» ossia su di una «forma più drastica di regolazione dell'economia nazionale da parte dello Stato»,[8] nota poi come keynesismo. Il varo di misure di deficit spending, accompagnato da ampie politiche di riforma previdenziale fornì i presupposti necessari per il controllo della crisi economica e per le istanze di integrazione nazionali.

Gli esiti furono comunque multiformi: ad esempio, il modello di Stato sociale particolaristico e corporativo affermatosi in Italia fu assai diverso dalle realizzazioni compiute nell'area scandinava, dove la politica previdenziale si allontanò «qui più che altrove dal principio assicurativo, finendo per considerare la difesa del reddito come un diritto di cittadinanza illimitato».[9]

L'esperienza della crisi economica contribuì in modo sostanziale all'evoluzione del sistema di sicurezza sociale, per quanto con ritmi diversi: negli Stati Uniti e nei paesi scandinavi ciò avvenne già a partire dalle metà degli ani Trenta, in Gran Bretagna e in altri contesti europei dopo. In particolare furono gli Stati Uniti (sino a quel momento tra i paesi più arretrati in questo ambito) ad adottare politiche sociali improntate al nuovo concetto della social security[10] nell'ambito del New Deal rooseveltiano. Fu ad opera di Franklin D. Roosevelt che venne varato, nel 1935, il Social Security Act, ossia una legge che istituiva uno schema di copertura assicurativa obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia, i superstiti e un'indennità di disoccupazione. Tuttavia malgrado il ruolo di avanguardia gli Stati Uniti non uscirono da una connotazione residuale del sistema di protezione sociale e la stessa sicurezza sociale non riuscì sino in fondo a radicarsi nel paese.

Mancò soprattutto il realizzarsi di una convergenza di numerosi gruppi di interesse attorno alle politiche economiche di ispirazione keynesiana. In Svezia il raggiungimento rapido di uno Stato sociale avanzato fu dovuto soprattutto a una sinergia tra azione sindacale e azione politica. Si giunse così, in poco tempo, a un compromesso socialdemocratico capace di attivare avanzate politiche sociali redistributive e inclusive, sostenute anche al di fuori dello schieramento delle classi lavoratrici. La socialdemocrazia scandinava fu promotrice di un sistema di protezione sociale rivolto a tutti i cittadini, del quale più tardi fu espressione il varo di una pensione popolare finanziata per lo più tramite prelievo fiscale. In Gran Bretagna e in Francia, invece, tardarono le condizioni politiche e sociali favorevoli all' introduzione di politiche sociali ispirate alla social security americana e all'impronta universalista del modello svedese.

Il piano Beveridge

Il Rapporto Beveridge.

Il 1° dicembre 1942 William Beveridge pubblicò il rapporto Social Insurance and Allied Services, destinato ad avere effetti decisivi sul sistema della sicurezza sociale. Ispirato agli Stati Uniti e alla Nuova Zelanda, il piano faceva un ulteriore passo in avanti nell'universalità della copertura e nella corrispondenza a un minimo nazionale delle uniformi prestazioni previste, indispensabile per condurre un'esistenza dignitosa. Esso teorizzava l'intervento dello Stato come garanzia della pienezza dei diritti sociali per tutti i cittadini tramite un sistema che li seguisse "dalla culla alla tomba", assicurando reddito, alimentazione, alloggio, istruzione e cure mediche. Alla sua base vi era uno stretto legame tra una politica sociale e una politica economica nazionale tendente alla piena occupazione. Il piano ambiva inoltre «a comprendere tutti i rischi possibili e ad assicurare livelli minimi di vita civile, bandendo Così "la miseria in tutte le sue forme"».[11]

Il programma di sicurezza sociale disegnato nel piano venne realizzato dopo il 1945 dal governo laburista e suscitò ampia attenzione anche fuori della Gran Bretagna, quale punto di riferimento di tutti i paesi che restarono nella sfera di influenza occidentale.

Il Nord Europa e i diversi sistemi previdenziale nel dopoguerra

Egualmente importante fu la stagione delle riforme sociali realizzate nell'Europa del Nord. I provvedimenti presi nei paesi scandinavi dopo la fine della guerra sono considerati altrettanto fondativi del moderno stato sociale (sia che li si consideri un'autonoma prosecuzione dei programmi introdotti già nel 1914, sia che vi si vedano riflessi delle idee di Beveridge). Quello scandinavo anzi è stato considerato, più del britannico, un «prototipo dell'idea di T. H. Marshall di cittadinanza sociale».[12] Un ruolo decisivo ebbe la Svezia, dove si introdussero le pensioni popolari finanziate per il 70% dal prelievo fiscale e dove fu forte l'insistenza sui principi dell'egualitarismo, della collaborazione tra i cittadini e della parità delle opportunità. Il portato universalista delle scelte qui operate fu soprattutto nell'abolizione della 'prova dei mezzi' per l'accesso alle prestazioni in denaro (l'obbligo di provare da parte di coloro che non versavano contributi lo stato di bisogno effettivo per avere la pensione).

Da uno sguardo complessivo emerge come alla fine della guerra le istanze universaliste furono al centro dei programmi e dei dibattiti delle nuove politiche sociali nazionali, imponendosi però in modo decisivo a metà degli anni Quaranta soltanto in Gran Bretagna e Svezia (e nei paesi anglosassoni e scandinavi). Diversamente, in ampia parte dell'area continentale non riuscì «il trapianto dell'universalismo sul tronco occupazionale».[13] Le eredità delle precedenti politiche sociali e il riemergere dei consueti meccanismi di polarizzazione e segmentazione portarono in paesi come la Francia, il Belgio, la Germania e l'Austria (definiti infatti come occupazionali puri) alla conferma dei tradizionali schemi previdenziali di categoria. Tra la fine della Seconda molti welfare state occupazionali cercarono di avvicinarsi al modello universalistico, trasformandosi in sistemi "occupazionali misti" (Svizzera, Paesi Bassi, Irlanda, Italia).

La previdenza sociale come politica dei redditi[14]

Previdenza e legislazione sociale

Lo stesso argomento in dettaglio: Stato sociale.

Previdenza e assistenza sociale

Il sistema di previdenza sociale in senso lato presenta un assetto dicotomico. Alla previdenza sociale (in senso stretto), connotata da una vocazione mutualistica aperta ad una solidarietà interna al mondo del lavoro, si contrappone l'assistenza sociale, a vocazione universalistica e solidaristica, basata sul principio di finanziamento ad integrale carico dello Stato e dall'ugualitarismo di prestazioni finalizzate alla liberazione dai bisogni socialmente rilevanti.

La prestazione previdenziale

La prestazione previdenziale si configura come prestazione economica individualizzata, che realizza un trasferimento di ricchezza sostitutivo del reddito da lavoro temporaneamente o definitivamente perduto. La prestazione in servizi risulta essere ormai confinata ad ipotesi marginali, funzionali a determinare un recupero della capacità lavorativa. Ciò non vuol dire che il valore delle prestazioni rese in servizi non sia apprezzamento dall'ordinamento. Al contrario esse sono state implementate, divenendo sempre più il nocciolo duro dei diritti sociali. È in questa prospettiva che appare sempre più marcata la distinzione tra prestazioni previdenziali in senso tecnico, prestazioni di assistenza sociale e prestazione per i diritti sociali.

Organizzazione del sistema previdenziale italiano

Fino al 2011, il sistema previdenziale dello Stato italiano era articolato con:

  • un polo per la gestione della previdenza di primo pilastro strutturato con numerose pubbliche amministrazioni detti anche Enti previdenziali.
  • un polo a presidio della tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, incentrato sull'INAIL (Istituto Nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro);
  • la tutela e l'assistenza alle prestazioni previdenziali si possono richiedere gratuitamente anche tramite i patronati.

Note

  1. ^ Polanyi, 1974, pp. 100 ss.
  2. ^ Polanyi, 1974, p. 128.
  3. ^ Polanyi, 1974, p. 103.
  4. ^ I sistemi di sicurezza sociale occupazionali sono basati su mutue e prevedono prestazioni diverse a seconda del reddito e dell'occupazione di partenza. Quelli universalistici sono basati su sistemi di sicurezza nazionale e prevedono prestazioni di base eguali per tutti i cittadini.
  5. ^ Ritter, 1996, p. 63.
  6. ^ Heclo, 1974.
  7. ^ Montroni, 2003, p. 379.
  8. ^ Gourevitch, 1984, p. 229.
  9. ^ Esping-Andersen, 1984, p. 79.
  10. ^ Traducibile con sicurezza sociale, questo termine esprime l'idea, affermatasi soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, di una protezione minima a tutti i cittadini, in base ai loro bisogni.
  11. ^ Ritter, 1996, p. 144.
  12. ^ Esping-Andersen, 1984, p. 87.
  13. ^ Maurizio Ferrera, Modelli di solidarietà. Politica e riforme sociali nelle democrazie, Bologna, il Mulino, 1993, p. 58.
  14. ^ RiformaPrevidenziale, p. 9 I programmi previdenziali sono stati introdotti per motivi di ridistribuzione del reddito ...

Bibliografia

  • Hugh Heclo, Modern Social Politics in Britain and Sweden: From Relief to Income Maintenance, New Haven and London, Yale University Press, 1974.
  • Karl Polanyi, La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974.
  • G. Esping-Andersen, Governo di sinistra e politiche di riforma in Europa. I caso svedese, a cura di S. Lugaresi e M. Telò, Milano, FrancoAngeli, 1984, pp. 72-98.
  • F.R. Pizzuti e G.M. Rey (a cura di), "Il sistema pensionistico. Un riesame", Il Mulino, Bologna, 1990, ISBN 978-8-815-02741-2.
  • M. De Cecco e F.R. Pizzuti (a cura di), "La politica previdenziale in Europa", il Mulino, Bologna, 1994, ISBN 978-8-815-04659-8.
  • Gerhard A. Ritter, Storia dello Stato sociale, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 63.
  • Giovanni Montroni, La politica sociale in Gran Bretagna tra le due guerre, in Studi storici, 2003, pp. 373-397.
  • Peter Gourevitch, La rottura con l'ortodossia: un analisi comparata delle risposte alla Depressione degli anni '30, in Stato e Mercato, vol. 11, n. 2, 1984, pp. 229-74, JSTOR 24649321.
  • Mariangela Bonasia, La riforma dei sistemi previdenziali. Il dibattito teorico e politico. Il caso italiano, Carocci editore, 2013.

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